Paola è la mamma di Elena, una ragazza di 21 anni con una diagnosi funzionale orientata all’ipercinesia, con ritardo mentale e del linguaggio. Ancora oggi non esiste una diagnosi clinica che definisca precisamente le cause del suo disturbo e nel corso degli anni l’identità di Paola si è andata via via dissolvendo, perché tutti la identificavano solo come la mamma di Elena. Paola non esisteva più, era fusa all’interno di una diade indissolubile che confondeva chiunque avesse a che fare con loro.

Eravamo un tutt’uno, quel tutt’uno che ci rendeva dipendenti l’una dall’altra, ma che ci dava senso di protezione nei confronti di un mondo che non ci comprendeva, che andava troppo veloce o troppo lento, che assumeva toni arroganti e aveva suoni troppo forti ed assordanti. Quel tutt’uno che, al sol pensiero di allontanarci l’una dall’altra anche solo per mezza giornata, provocava ansia, crisi psicotiche, autolesionismo e aggressioni…”

Paola è una mamma che, come tante altre, si è dovuta misurare sin dal principio con una dimensione “diversa”, tanto complessa quanto delicata. Un mondo sconosciuto, che nessuno è mai pronto ad affrontare, se non dopo un percorso di accettazione fatto di sofferenza e sacrificio. Paola non si sentiva preparata ad affrontare una sfida simile e giorno dopo giorno perdeva la propria autostima, perché paura e smarrimento sono i principali sentimenti che attanagliano il cuore di chi vede la propria figlia intrappolata in una condizione di fragilità. Sentimenti, però, sempre intrisi di un amore profondo e di una forza sconfinata, che solo una madre è in grado di provare. Inizia così un lungo ed estenuante percorso costellato di pareri e consulti tra neuropsichiatri, educatori, formatori e psicologi appartenenti ad Istituti e strutture specializzate presenti sia nella Regione di residenza, la Calabria, che fuori Regione, in Lombardia, Liguria e Lazio.

Avevo sempre come l’impressione che mi palleggiassero dall’uno all’altro, senza mai prendersi carico, in pieno, di un percorso globale, anche minimo, di integrazione socio-educativa per mia figlia”.

L’ultimo ricovero, presso una struttura che aveva già ospitato Elena durante numerose degenze, segnò l’inizio della sconfitta. Dopo un percorso durato quasi tre anni, Paola sperava almeno in una diagnosi che potesse restituire loro una soglia della qualità della vita migliore. Ma le parole pronunciate dalla Neuropsichiatra Infantile di riferimento furono poche e secche: Elena doveva essere seguita dal servizio di neuropsichiatria della propria regione, sia per quanto riguardava un eventuale centro di riabilitazione residenziale, sia per la terapia farmacologica, perché loro non potevano prendere in carico un “problema” appartenente ad un’altra regione. E dopo gli svariati tentativi falliti di inserimento nelle terapie di riabilitazione, quello dell’inserimento scolastico segnò ancora una volta un grande cambiamento per la vita di Paola.

Con grande dolore decisi di abbandonare il lavoro per affiancare mia figlia nel percorso verso l’integrazione scolastica. Un percorso che durò circa tre anni e che, purtroppo, servì solo a consolidare la nostra simbiosi, senza risultati concreti nell’instaurare rapporti, per lei, duraturi e gratificanti con persone e ambienti nel mondo della scuola e delle varie realtà locali socio educativi per l’infanzia. Mi ritrovai a dover gestire da sola una situazione che sentivo più grande di me, dove tutto sembrava non essere in sinergia, ogni cosa fuori tempo, fuori luogo”.

Le improvvise crisi comportamentali di Elena divennero sempre più frequenti e spesso ingestibili, fino al punto di non poter più uscire da casa. Monitorare i suoi bisogni era diventato un impegno costante e necessario, che Paola ha avuto la fortuna di condividere con sua sorella. Ad aggravare la situazione sono state inoltre le grandi difficoltà della regione di residenza di Paola ed Elena, sprovvista di un reparto di Neuropsichiatria Infantile. Una regione in cui i servizi sociali e di riabilitazione avevano liste d’attesa interminabili e che restituivano a Paola tutta la responsabilità del caso.

Io e tutte le altre mamme che vivevano la mia stessa situazione, abbiamo dovuto improvvisarci infermiere, assistenti alla persona, farmacologhe, educatrici, operatrici sanitarie, psicologhe, guardie del corpo… e quando la stanchezza ce lo permetteva, ci ricordavamo di essere anche madri”.

Paola capì che poteva contare solo sulle sue forze e sul sostegno della famiglia, così decise di ricreare all’interno della propria casa un ambiente protetto, morbido, dove poter “contenere” fisicamente sua figlia, per evitare che si facesse del male durante le sempre più frequenti crisi aggressive ed autolesioniste. Così decise di tappezzare i punti più critici di casa con dei cuscini, perché correre in ospedale quando Elena viveva quella condizione di labilità estrema era diventato un rischio troppo pericoloso.

Quando il risultato di una intera giornata di sforzi si trasformava nell’ennesima frustrazione, un maledetto senso di impotenza oscurava il mio cuore. L’unico sollievo che provavo a fine serata arrivava quando restavo abbracciata alla mia bimba, per contenere le mie e le sue rabbie. Erano momenti unici, durante i quali i nostri sensi si mescolavano per generare un unico sentimento fatto di rabbia, compassione e amore”.

Nel 2009 Paola ed Elena si trasferiscono nella residenza estiva di famiglia, che rappresentava per Paola la speranza di poter garantire ad Elena un contesto tranquillo in cui vivere. È proprio lì che Elena sfiorò per la prima volta la vera felicità.

Un giorno decidemmo di andare a vedere il mare. Erano passati anni dall’ultima volta che avevamo immerso i piedi nell’acqua salata… In quel preciso momento io ed Elena provammo finalmente una felicità autentica, piena e quel ricordo mi accompagna ancora oggi”.

Ma dopo questa fugace illusione, nell’agosto del 2011, Elena regredì nuovamente, fino a rifiutare le uscite e si rinchiuse dentro casa, nuovamente sotto il vigile controllo di sua madre e della zia. È stato allora che Paola si rese conto dell’importanza e della necessità di dover dare ad Elena la possibilità di progettare un futuro “dopo di lei”. L’unica strada percorribile andava in una sola direzione: trovare un centro di riabilitazione specializzato che offrisse un servizio residenziale per minori e che garantisse ad Elena una migliore qualità di vita, incentivando i suoi bisogni di autonomia personale sia sul piano psicologico che sul piano fisico. Spinta da tanta determinazione, Paola iniziò a prendere contatti con vari istituti.

Dopo tante ricerche effettuate sull’intero territorio nazionale, scelsi l’Istituto Serafico di Assisi, un centro specializzato nella riabilitazione per ragazzi con disabilità plurime e che offre trattamenti riabilitativi residenziali. Dopo un breve day hospital mi dissero che avrebbero preso in carico Elena”.

Paola iniziò ad intravedere uno spiraglio di luce, ma durante l’attesa che precedeva il trasferimento di Elena ad Assisi, non furono pochi i dubbi e le domande che si poneva.

Sto davvero facendo la cosa giusta? E se Elena dovesse regredire ancora? Come farà senza di me? Ed io senza di lei?”

Dopo innumerevoli nottate insonni, Paola comprese che se voleva assicurare ad Elena una vita più sana e serena, prima di tutto doveva affrontare il senso attaccamento che nutriva nei suoi confronti. Doveva lasciarsi andare e lasciarla andare.

La lasciai andare… L’8 ottobre del 2012 Elena, mia figlia, entra nell’Istituto Serafico di Assisi e dopo un affiancamento durato oltre 10 gg, viene integrata nel residenziale. Il percorso psicoterapeutico per affrontare il distacco fu doloroso, ma la psicologa dell’Istituto ci aiutò molto. Emozioni, sofferenze, gioie… Una susseguirsi di sentimenti contrastanti che alla fine ci regalò gioie piene, di quelle che incarnano la gratificazione assoluta dopo un percorso come il nostro”.

Paola la lasciò andare quando realizzò che il contesto che aveva da sempre sognato per sua figlia, in grado di accogliere i suoi bisogni e compensarli attraverso criteri educativi consoni, orientati ad un percorso di crescita più sano, era proprio l’Istituto Serafico di Assisi. Elena ha così iniziato un percorso riabilitativo e socio-educativo che non ha precedenti nella sua vita, oggi sta bene e le sue crisi sono diminuite sia in frequenza che in intensità. I laboratori creativi e sportivi le permettono di integrarsi totalmente ed è impegnata in un percorso di comunicazione aumentativa alternativa che le permette di vivere con serenità le relazioni con gli altri ragazzi e ragazze dell’Istituto.

Il costante confronto con gli educatori e lo psicologo mi sta consentendo di apprendere criteri, modalità e strategie da poter applicare a casa nei periodi in cui mia figlia rientra per le vacanze, affinché si possano smembrare quegli atteggiamenti stereotipati che hanno avuto, purtroppo, modo di consolidarsi prima dell’inserimento di Elena in Istituto. Questo percorso restituisce sempre più alla nostra interazione come madre/figlia un ordine di ruoli e una più semplice e serena gestione del nostro tempo insieme, fino al raggiungimento di un rapporto paritario dove la condivisione e la partecipazione di entrambe all’interno dei vari contesti sono diventati elementi più sereni, divertenti e soprattutto più gestibili. Questo risultato è stato raggiunto grazie alle figure più importanti che ruotano intorno a mia figlia e alla disponibilità di uno spazio protetto, dedicato al nostro tempo insieme, nel contesto della foresteria e del “profumo di casa” all’interno del Serafico”.

Oggi Elena sta bene, quando rientra a casa per le vacanze estive Paola la porta spesso al mare, dove passano ore in acqua insieme, si divertono e giocano a costruire castelli di sabbia. È diventato anche più facile percorrere lunghi tragitti in auto, così possono visitare i luoghi in cui sono custoditi i ricordi d’infanzia. Oggi Elena è felice, perché è finalmente in grado di condividere i suoi traguardi con le persone che la amano ed ha imparato a coinvolgere amici e parenti in questo suo bellissimo percorso di crescita. Lo fa attraverso la comunicazione mimica/gestuale, che è diventata ormai parte di sé insieme alla comunicazione iconica.

Ancora oggi, dopo cinque anni, continuo a lasciarla andare… perché è stata la scelta migliore che potessi prendere per la vita di mia figlia e per il suo futuro. E quando ripenso con lucidità ai benefici di cui gode mia figlia e agli incredibili traguardi che giorno dopo giorno raggiunge, non posso far altro che provare un incommensurabile senso di gratitudine nei confronti degli sforzi e dello straordinario lavoro che quotidianamente portano avanti i medici, gli educatori e gli operatori dell’Istituto Serafico. È grazie al loro prendersi cura di Elena se oggi, io e mia figlia, abbiamo ritrovato il sorriso”.

Elena è stata accolta dal Serafico ed i suoi traguardi sono la testimonianza tangibile del fatto che la “diversità e la fragilità” sono risorse meravigliose che valicano i confini della comune immaginazione. Perché accogliere una persona significa accogliere un progetto di vita: individuale, relazionale, familiare e comunitario.


Il Serafico, fondato nel 1871, è un modello di eccellenza italiana ed internazionale nella riabilitazione, nella ricerca e nell’innovazione medico scientifica per i ragazzi con disabilità plurime. Convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale per trattamenti riabilitativi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali, il Serafico accoglie e cura ogni giorno 157 pazienti, provenienti da tutto il territorio nazionale, per un totale di 14.841 trattamenti riabilitativi e 15.842 trattamenti educativi-occupazionali all’anno (dati 2017). In una superficie complessiva di circa 10.000 mq, posta su di un’area di 40.000 mq, sono disponibili 84 posti letto in regime residenziale, 25 posti letto in regime semi-residenziale, oltre ad un servizio ambulatoriale e di valutazione diagnostica-funzionale. Le persone al servizio degli utenti sono oltre 200: circa 163 tra collaboratori e dipendenti e i numerosi volontari, che mettono in campo non solo capacità e competenze, ma anche un “capitale di umanità” in grado di entrare in sintonia con i pazienti. Per informazioni: www.serafico.org

 

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